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Il nostro Caporale Jonlan ha recentemente visitato il Computing History Museum di Cambridge (GB), dove ha avuto modo di ammirare una collezione di computer, console e altri pezzi di storia dell'informatica e dell'intrattenimento elettronico veramente notevole. In questo articolo le sue impressioni corredate dalle immagini riprese con la sua fida Leica M9.
Cambridge, la cittadina inglese famosa in tutto il mondo per la sua prestigiosa università eterna rivale di Oxford, è una sorta di città santa per gli appassionati di retrocomputing. Qui, nella seconda metà degli anni '70, Clive Sinclair ideò assieme a Chris Curry i suoi primissimi microcomputer, mantenendovi poi il ramo ricerca e sviluppo della Sinclair Research Ltd. dopo che Curry, con Hermann Hauser, era andato per la propria strada fondando la Acorn Computers. Proprio Hermann Hauser, oggi 65enne, fu colui che permise, con il sostegno della propria azienda di ricerca Amadeus Capital Partners Ltd., l'apertura del Computing History Museum (d'ora in avanti CHM) nel dicembre 2011.
Dall'estate del 2013 il CHM occupa il sito attuale, alla periferia est di Cambridge. Lo raggiungo dopo una camminata di circa venti minuti partendo dal centro. Si trova ospitato in una zona industriale e commerciale, all'interno di un capannone dell'estensione di circa mille metri quadri. L'esterno sembra tutto fuorché un museo, ma - come è noto - non bisogna giudicare un libro dalla copertina...
Pagate le sette sterline del biglietto, la mia attenzione è catturata da un mobile a forma di cubo di Rubik su cui fa bella mostra di sé un Apple II/e. Accanto noto, posto sotto una teca di vetro, un Minivac 601 del 1961, elaboratore a relé ideato per scopi educativi da Claude Shannon, uno dei "padri" della moderna teoria della comunicazione. Sotto un'altra teca, il primo microcomputer del duo Sinclair-Curry, uno MK 14. Più in avanti, un tavolo su cui sono poggiate altre macchine, tra cui due Commodore: un Amiga CD32, su cui sta girando il celebre The Chaos Engine dei Bitmap Brothers, e un VIC-20. In un angolo, quattro coin-op allineati e funzionanti in modalità free play: vi distinguo un Super Street Fighter II Turbo. Tutta la sala d'ingresso è "guardata" da un sorridente sir Clive, il cui ritratto è appeso tra due dei finestroni che la illuminano.
Già da queste prime battute il mio interesse aumenta, e mi accorgo che una consistente parte delle macchine esposte sono accese, funzionanti e aperte alla libera interazione da parte dei visitatori. Entro in una stanza attigua e mi si presenta una scena che doveva essere familiare agli studenti delle scuole britanniche degli anni '80: lunghe file di tavoli su cui poggiano degli Acorn BBC con monitor a fosfori verdi, quasi tutti operativi. Attorno ad essi, manuali d'uso, libri di programmazione, opuscoli vari... Sulla parete opposta all'ingresso campeggia un grande poster che riproduce la tastiera dello ZX81.
Lo spazio espositivo principale è però quello a cui si accede attraverso una porta situata accanto ai coin-op. Qui si trova la gran parte della collezione messa a disposizione del pubblico, organizzata per lo più secondo un criterio logico-cronologico. Ad esempio, le console sono raggruppate per "generazione", per cui un Sega SG-1000 è posto a fianco di un Nintendo FamiCom, il Nintendo SuperNES condivide la scena con il suo storico "rivale", il Sega Megadrive, mentre la Sony PlayStation compare assieme al Nintendo 64, al Sega Dreamcast e ad altri sistemi videoludici coevi. Lo stesso vale per i sistemi informatici. Compaiono i protagonisti delle ere a 8 e 16 bit - Sinclair ZX81 e Spectrum, Commodore 64 e Amiga, Atari XE e ST, Amstrad CPC 464 ecc. - assieme a macchine meno note al grande pubblico ma ugualmente importanti dal punto di vista storico come il Tatung Einstein, molto usato negli anni '80 in qualità di piattaforma di cross-development per sistemi basati sulla CPU Zilog Z80. Uno spazio a sé stante è dedicato al C5, lo sfortunato triciclo elettrico di Clive Sinclair. Una curiosità storica è senza dubbio lo Amstrad Mega PC 386SX, un IBM-compatibile che include un Sega Megadrive incorporato, montato su scheda figlia ISA!
Un angolo della sala sembra ricreare, tra scrivanie, computer, monitor e drive floppy, l'aspetto tipico di un ufficio informatizzato di fine anni '70; qui spicca un Commodore serie PET mod. 3016. Su lunghe file di tavoli troviamo allineate varie altre macchine per applicazioni business e amministrative. Appare perfino il raro Sinclair PC 200. Non mancano "fratelli maggiori" quali un mainframe per applicazioni militari e un sistema completo di elaborazione dati Hewlett Packard 3350 a nastro magnetico; visti oggi, questi grossi apparati fanno piuttosto pensare, non senza una certa ironia, ai computer "retro-futuristici" della serie di Fallout.
Per converso, alcuni storici microcomputer ci ricordano gli inizi dell'informatica "da casa": tra di essi un IMSAI 8080, clone dello Altair 8800 (pure esposto) e che i cinefili ricorderanno come il PC tramite il quale David Lightman/Matthew Broderick rischia di scatenare la terza guerra mondiale intrufolandosi nella rete militare statunitense, nel celebre War Games di John Badham (1983).
L'interesse suscitato da una così ampia "carrellata" di storia dell'informatica diventa quasi commozione quando scorgo, circa al centro della sala, una parete divisoria interamente costituita da involucri di cassette di giochi per sistemi a 8 bit. Non esagero se affermo che almeno tre quarti di quei nomi mi sono ben familiari...
Un fatto balza all'occhio: lo spazio disponibile è sfruttato per circa la metà, e in un angolo del vasto capannone sono accumulati pezzi sparsi, tastiere, hardware vario accatastato abbastanza alla rinfusa; sotto alcuni dei tavoli su cui poggiano le macchine da ufficio sono poste scatole di cartone da cui ogni tanto vedo spuntare dei cavi o delle file di tasti. Sapevo già che il museo è un cantiere aperto, un work in progress; e una conversazione con Jason Kirkpatrick, curatore dell'istituzione, me lo conferma. Mi presento e parlo a Jason di GamesArk, del VIGAMUS e della Spectrumpedia, nonché del mio essere venuto a Cambridge anche per visitare il luogo di cui egli si occupa.
Avendo compreso il mio forte interesse, Jason mi invita gentilmente là dove il pubblico "generalista" di solito non viene ammesso: mi conduce al piano superiore per mostrarmi qualcosa che non esito a definire un'autentica "caverna del tesoro". Migliaia di computer, console, accessori, libri, programmi di ogni sorta, giochi in attesa di catalogazione giacciono entro scatoloni, collocati su scaffali o semplicemente sul pavimento. Egli inoltre mi spiega che esistono altri due spazi, attualmente chiusi alle visite, come quello in cui ci troviamo. Le macchine esposte sono quindi solo una piccola parte del patrimonio che continua ad accumularsi grazie a donazioni e acquisti da parte del museo. Jason mi ricorda poi che il CHM è una charity organization, cioè un'organizzazione senza scopo di lucro e a fini sociali, per la qual cosa ha ricevuto alcuni finanziamenti dalle autorità locali, ma la maggior parte delle spese di gestione e manutenzione è coperta attraverso le sponsorizzazioni, le quali comprendono alcuni nomi ben noti come Google o Samsung. Per ora si tratta di un impiego svolto soprattutto a tempo parziale, ma Jason e i suoi collaboratori sperano di poterlo trasformare un giorno in un lavoro full-time in modo da potersi dedicare a un'attività che, come tutte quelle aventi a che fare col recupero del passato, è mossa soprattutto dalla passione e dalla volontà di non lasciar consegnare una parte del nostro mondo all'oblio definitivo.
Dopo qualche altro scatto, ringrazio Jason della sua disponibilità, promettendo di fargli sapere quando lo speciale su GamesArk sarà pubblicato, e mi riavvio verso il centro di Cambridge per un altro giro della città, in attesa del treno che in serata mi riporterà a Londra, non prima però di concedermi un piatto di fish and chips al pub Baron Of Beef, altro luogo "simbolo". Fu qui infatti che nel dicembre 1984 Clive Sinclair aggredì Chris Curry insultandolo pesantemente e colpendolo ripetutamente con un giornale arrotolato, sul quale aveva letto poco prima una pubblicità della Acorn in cui si dichiarava esplicitamente una superiore affidabilità del BBC Micro rispetto allo Spectrum, adottando come parametro le stime in percentuale di rese per difetti di fabbricazione. Il fatto fu ampiamente riportato dalla stampa (sia locale che internazionale: ricordo di averlo letto sulla Gazzetta del Sud! -NdCJ), che lo definì scherzosamente "the battle of the boffins", ossia "la battaglia delle teste d'uovo"!
Ringraziamo ancora Jason Kirkpatrick per la cortesia e la disponibilità concesse nel corso della visita al Museo e gli auguriamo di poter fare crescere sempre più nel futuro la sua preziosa istituzione.
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